IL NUOVO PACKAGING CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE: LE 3R IN TAVOLA

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Il packaging degli alimenti per contrastare gli sprechi alimentari. Sembra un gioco di parole, ma le nuove tecnologie parlano di imballaggi commestibili basati su componenti naturali o ricavati da by-products dell’industria alimentare. È la nuova sfida della sostenibilità, come insegna il noto trio: reduce, reuse, recycle. 

a cura di
Elisa Crotti

I numeri sono allarmanti: ogni anno vanno perdute 1,3 miliardi di tonnellate di cibo. Entro il 2030, si prevede che la cifra schizzerà a 2,1 miliardi. Con un pianeta che fatica a sostentarci, il clima che impazzisce e la popolazione che aumenta a dismisura, gli sprechi alimentari sono un affare serio.  

Un esempio riguarda il pesce: ogni anno il 35% del pescato viene perso o eliminato prima di essere commercializzato. Si tratta dell’equivalente di 3 miliardi di salmoni atlantici. Un banco sterminato, che non riusciamo nemmeno a immaginare.  

Posto che affrontare lo spreco alimentare è un imperativo più che decennale, una strategia potrebbe consistere nel convertirlo in packaging. Ossia, il cibo scartato potrebbe servire a custodire altro cibo. Un’utopia? No, se si considera che già da tempo sono allo studio soluzioni smart, che trovano letteralmente terreno fertile nei paesi in via di sviluppo.  

Una, fra tante, riguarda la produzione di sacchetti creati con una farina ottenuta dalla frantumazione di scarti di frutta tropicale, in grado di biodegradarsi in 3-6 mesi e vivere a scaffale fino a due anni, costando il 10% in meno dei sacchetti in plastica non biodegradabili. Ancora, abbiamo il caso di film realizzati attraverso una particolare lavorazione degli idrocolloidi naturali e degli agenti attivi; si tratta di imballaggi non solo sostenibili per la conservazione degli alimenti, ma addirittura commestibili. 

Un ampio studio dell’Università Bahçeşehir (BAU) di Istanbul si sta occupando di produrre imballaggi alimentari biodegradabili da rifiuti alimentari o da sottoprodotti della produzione alimentare, lavorando insieme a un partner dell’industria dell’imballaggio e uno del settore alimentare. Lo studio è supportato dall’Ufficio Regionale della FAO per l’Europa e l’Asia centrale e da Interpack, e verrà presentato pubblicamente a fine primavera. 

Il ruolo cruciale del packaging 

Perché proprio il packaging è così importante nel contrasto degli sprechi alimentari? Innanzi tutto, perché l’industria del packaging ha un peso specifico consistente. Si tratta del più grande settore industriale al mondo, secondo solo a quello alimentare e petrolchimico. Quella del packaging è fra le prime 5 industrie in tutti i Paesi del mondo, con tassi di crescita annui fra il 3 e il 5%. Non è difficile comprendere come il concetto di sostenibilità sia qui più impellente che mai.  

Inoltre, nel settore alimentare i rifiuti dovuti al packaging sono elevatissimi. Qualche dato ci può offrire un quadro: ogni anno vengono prodotte 300 milioni di tonnellate di plastica e la metà di queste viene usata solo una volta. In particolare, la plastica usata per il packaging rappresenta circa il 40% del totale della plastica prodotta e la maggior parte di essa finisce in una discarica.  

Come se non bastasse, solo il 30% della plastica impiegata nel packaging alimentare viene riciclata, mentre la maggior parte finisce dispersa nell’ambiente. Se poi ci si spinge nei Paesi emergenti, si riscontra come siano proprio le performance inadeguate del packaging a causare la scorretta conservazione degli alimenti e, di riflesso, gli sprechi alimentari. 

Per questo motivo, i produttori di imballaggi stanno riconsiderando i materiali e i metodi, alla ricerca di nuove risposte. La strada non è sempre in discesa e chiara, come dimostra l’ultimo esempio di over-packaging alimentare delle uova “salvatempo”: uova sode, già sgusciate, vendute in confezioni di plastica.  

Al di là delle trovate infelici, il packaging ha comunque alcune funzioni fondamentali, cui non può venire meno. Deve innanzitutto proteggere e conservare il suo contenuto, deve essere funzionale a tutta la catena logistica, dal trasporto all’esposizione in negozio, deve farsi veicolo di informazioni sul prodotto e infine deve identificare un brand e attirare l’attenzione dell’acquirente. È insieme un supporto logistico indispensabile e un mezzo di comunicazione potente.  

Per questo, la via di mezzo è ancora una volta la giusta strada: il segreto sta nel trovare il punto di equilibrio fra eccesso, che impatta sull’ambiente, e carenza di imballaggio, che può portare ad altri tipi di problemi, come il deterioramento precoce del cibo, la sua contaminazione o la mancanza di protezione per alimenti particolarmente delicati. 

Sostituire la plastica e “salvare” il cibo 

La plastica è nell’occhio del ciclone. Ma tutti sappiamo che è un materiale dalle proprietà eccezionali, utilissimo in svariate occasioni. A renderla nociva sono il modo in cui viene prodotta, usata e smaltita. Tasto dolentissimo è il monouso.  

Allargando lo sguardo, appare evidente come passare semplicemente dalla plastica a un altro materiale, ad esempio la carta, non sia la soluzione, soprattutto se il monouso rimane l’imperativo. Nel report “Throwing away the Future” di Greenpeace si legge come diversi brand, fra cui ad esempio McDonald’s e Starbucks, abbiano annunciato con orgoglio nuove cannucce o confezioni in carta senza però preoccuparsi degli impatti della filiera della carta o dell’effettiva riciclabilità dei presunti packaging sostenibili. 

Diviene quindi fondamentale puntare piuttosto sull’ecodesign per dar vita a imballaggi progettati allo scopo di non produrre rifiuti.

Si pensi al packaging standardizzato riutilizzabile per la catena logistica, o ai modelli di business “zero rifiuti” come i negozi senza packaging.

Una curiosità in proposito riguarda il progetto danese “Stop Splid Af Mad” (basta sprechi alimentari), uno dei primi di Save Food, un’iniziativa fondata da Messe Düsseldorf, Interpack e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).  

Il progetto danese ha visto la distribuzione di 80mila borse promozionali e la collaborazione di supermercati che hanno proposto sconti sui singoli pezzi e non sulle grandi quantità. Solo per l’acquisto di banane singole, promosse con lo slogan “Portami a casa, sono single”, la riduzione degli sprechi nei supermercati si è aggirata intorno al 90%. Segno che, a volte, basta l’idea. 

La tecnologia a supporto 

Anche la tecnologia della comunicazione può contribuire ad arginare lo spreco alimentare. L’app Too Good To Go, utilizzata in diversi paesi, mostra i nomi e gli indirizzi di ristoranti, panetterie e supermercati in cui i clienti possono acquistare cibo prossimo alla scadenza o allo smaltimento a prezzi ridotti.  

Secondo Too Good To Go, il 40% del cibo in Europa viene buttato via in una fase molto precoce della catena del valore, prima ancora che raggiunga i rivenditori. Ciò significa che numerosi alimenti vengono persi prima ancora che i consumatori abbiano la possibilità di acquistarli.  

Un’ulteriore opportunità tecnologica è data dall’utilizzo di sensori di imballaggio, come la data di scadenza dinamica FreshIndex, ottenuta attraverso un device che assicura il monitoraggio in tempo reale degli alimenti tramite un’app. Ciò si traduce in una concreta prevenzione degli sprechi, in un circolo virtuoso sul quale vale la pena investire.  

Infine, concentrandosi sulla ricerca e lo sviluppo di imballaggi commestibili basati esclusivamente su componenti naturali e sulle loro applicazioni, sarà possibile delineare il futuro di un settore emergente che può svolgere un ruolo centrale nel migliorare la sicurezza e la qualità degli alimenti, la salute umana e le pratiche rispettose dell’ambiente. 

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